Prima di narrare i fatti relativi all'ingresso della nuova statua, è bene esporre un cenno sull'origine del culto della Madonna delle Grazie.
Ci ha tramandato nel suo manoscritto il Morizzi che le continue grazie concesse dalla Madonna del Pilar ai suoi devoti spinsero questi a rendere speciali onoranze al suo prodigioso simulacro.
Difatti, i pii Tresilicesi, oltre alla celebrazione della festa annuale e delle messe di rito, si portavano ogni sabato nel piccolo santuario e, assieme al clero, vi recitavano il S. Rosario. Tal
pratica devota durò buona pezza, ma, accaduto che fu l’infausto terremoto del 1783, con la chiesetta diruta e gli animi esacerbati dal dolore per tante perdite umane e materiali, il culto dei
padri sprofondò nella più completa indifferenza. La portentosa statua e la campana vennero trasferite nella chiesa parrocchiale e nel diroccato santuario, per alcuni anni, almeno fino al 1795,
ebbero dimora soltanto i cadaveri di coloro che decedevano in Tresilico e in Oppido. A tale ingiusto oblìo avevano concorso numerosi fattori: l’annichilimento della persona umana e il conseguente
desiderio di dedicare più tempo ad effimeri sollazzi, la rapacità della Cassa Sacra, l’assillo di ricostruirsi un qualsiasi abituro e di rifarsi un nuovo modulo di vita, il Sanfedismo e, infine,
l’invasione francese e l’introduzione di idee contrarie alla religione degli avi.
Non conosciamo esattamente l’epoca in cui il culto della Madonna risorse più fervido e splendente e quando all’immagine della Vergine del Pilar venne a sostituirsi quella, più vicina al cuore
dei miseri superstiti, della Madonna delle Grazie. Ma è fuor di dubbio supporre che i Tresilicesi, una volta elusa la crudele morsa del terremoto, abbiamo a poco a poco rivolto il loro grato
pensiero a chi maternamente poteva averli salvati da sì immane catastrofe. Obliati per un po’ gli antichi prodigi ed esumati quelli più recenti e, quindi, più reali, essi si saranno sicuramente
rivolti alla Celeste Signora solo quale Dispensatrice di Grazie ed in questa veste avranno voluto ricordarla d’allora in poi. Scrive il solito Morizzi che una statua della Madonna delle Grazie
venne portata a Tresilico “con desiderio, ed applauso universale” nel luglio del 1832. Questa statua in legno, acquistata certamente per servire nelle processioni, e quella medesima che fu
rifatta anni fa dal pittore oppidese Domenico Mazzullo e che trovasi ancora conservata ed esposta al culto nel vecchio palazzo Vorluni.
Ciò detto, non ci resta ora che trattare di due importanti personaggi tresilicesi, i quali hanno avuto una parte determinante nel ripristino del culto inverso la Madonna e nella costruzione
della nuova statua che oggi si venera. Sono essi la “pia devota” Rosa Vorluni (1799-1871) e il cognato medico Gaetano Morizzi (1794-1853).
Rosa Vorluni, figlia di Domenico e di Caterina Schiava e sorella del poeta Francesco, era una pia donna di Tresilico in fama di santità per le sue celesti visioni, mentre il
Morizzi era noto per essere stato prossimo alla morte e per essere guarito inopinatamente e per grazia ricevuta dalla Madonna. Dall’incontro mistico tra la “santa” e il miracolato si origina una
comunione spirituale. La Vorluni, per il cui tramite la Madonna aveva graziato il Morizzi, farà da mediatrice fra il cognato e la Madonna. A sua volta il Morizzi, il quale resterà sempre
riconoscente alla sua celeste Salvatrice, diventerà lo strenuo paladino di Questa, si renderà propugnatore di una nuova statua e vorrà perpetuare in un libro le di Lei benemerenze
miracolistiche.In tal libro, che si conserva gelosamente dal parroco di Tresilico, al quale lo hanno regalato gli eredi del Morizzi, mai pubblicato e noto nel 1892 a Francesco Saverio Grillo, che
ne stampò alcuni passi salienti nel suo già citato opuscolo, sono narrati, in una scrittura minutissima ed in uno stile piuttosto arcaico, i casi miracolosi avvenuti in Tresilico tra il 1835 e il
1837 ad opera della Madonna delle Grazie, tramite sempre la pia Rosa, ma pure il solenne ingresso in paese della nuova effigie, le probabili origini del culto e il ritrovamento dell’antica statua
della Vergine del Pileri, cui il culto stesso viene ricollegato e di cui abbiamo discorso abbondantemente in precedenza. Il tutto risulta compreso in 90 pagine fittissime, correlate di parecchie
note ed è suddiviso in quattro parti, per complessivi quattordici capitoli, mentre un’ampia appendice è servita al Morizzi per adunare le molte composizioni poetiche gravitanti intorno al
medesimo tema ideate da suoi illustri compaesani. Il Morizzi si sentì spinto a comporre tale lavoro sia da una sorta di gratitudine verso la Madonna sia per riguardo alla cognata, che ne fu la
portavoce e ch’egli nel manoscritto nominò sempre e soltanto come “l’incognito pio soggetto” e “il devoto soggetto”. Il lavoro del Morizzi, e, indubbiamente, opera di fede e l’autore stesso,
d’altronde, non pretende di avere scritto alcunché d’impegnativo. Difatti, in uno stile modesto e semplice, egli narra i mirabili casi, cui è stato testimone e che ha dovuto esaminare anche come
medico, senza alcuna presunzione letteraria e senza neanche farsi trascinare dall’inventiva poetica, pure se sono molti i termini non usuali ai nostri tempi che vi si riscontrano, quali
quatrinato, imbrividisco, rammemoro,ecc. Il lavoro resta, comunque, parecchio interessante quale documento d’epoca di un paese di Calabria, che, risorto da poco dalle macerie di un terribile
cataclisma, non dimenticava il culto dei padri e si apprestava anzi a dargli maggiore lustro.
(da "Un Paese un Culto" Tresilico e la Madonna delle Grazie, a cura di Rocco Liberti, Tresilico (RC), GM Edizioni, Giugno 1979)
Scrive il Morizzi che una notte una voce interna venne a sollecitarlo a presentarsi al vescovo, onde proporgli l'allestimento di una nuova effigie in onore della Vergine delle Grazie.
Incalzatolo il mattino successivo una maggiore sollecitudine, egli volle allora recarsi in chiesa, dove incontrò la cognata Rosa Vorluni, la quale, appena lo ebbe avvistato, così l'istruì:
-Andate dal vescovo. Egli accetterà senza indugio quanto gli andrete a prospettare e lo stesso modo che avete ideato stanotte per presentarvi a lui va molto bene. Conducete in porto l'impresa che
vi siete prefissa, perchè questo è il volere della Madonna. - portatosi in Seminario e addotte le sue ragioni, il Morizzi, difatti, venne subito esaudito nei suoi desideri da quel vescovo, che,
per il miglior esito dell'impresa, volle addirittura suggerirgli alcune modifiche da apportare al suo progetto iniziale. Prima che si ordinasse la statua ad un qualche artista, si originarono,
naturalmente, delle discussioni sulla posa stessa che vi avrebbe dovuto assumere la Vergine, quando domenica 2 ottobre 1836 la Vorluni, nel mentre si trovava in chiesa, ebbe all'improvviso
un'ennesima apparizione. La Madonna, che l'invitava a guardare in alto per osservare la maniera in cui doveva allestirsi un cotal simulacro, si manifestava seduta su di un nobile seggio, avendo a
lato due sante vergini e martiri, di cui una era sicuramente S. Veneranda di Gerace. La Vorluni alzò subito gli al cielo, ma la forte luce effusa da quelle figure l'abbaglio e la costrinse a
cadere bocconi. Non si perse d'animo tuttavia la pia donna e implorò il permesso di poter mirare meglio le figure, onde a riferire a chi di dovere. Ottenne subito quanto chiesto e potè rivolgervi
indenne lo sguardo. Ma ecco, descritta dallo stesso Morizzi, quella sfolgorante visione: "ravvisa una Amabile Signora di ordinaria statura, che a suo modo di intendere, uguagliar potè a palmi sei
circa, assisa su di ricca sedia ornata di fiori, e con pometti nella parte della spalliera, da dentro i quali uscivano due mazzetti di gelsomini. Sostenea sul sinistro ginocchio il Bambino alla
mammella dell'istesso lato, che sembrava di aver lasciato da fresco, prossimo così a dormire. Sostenuto in tal posizione dalla Madre colla sinistra mano per sotto le ascelle reggea colla destra
le gambe, che vacillavano, in atto che il tronco inclinava per la parte della spalla della medesima. Le pupille della Madre che incantavano, rivolte erano alquanto sul volto del dormicchiante
fanciullo. La posizione era dell'intutto maestosa, autorevole, ed amabile: il capo cinto era da un nobilissimo diadema frascato a fiori; circa il colorito degli abiti, non ritrovo a quale dei
naturali colori paragonarlo, adattati però alla regale forma, ed in modo assai simmetrico". Il "pio soggetto" una volta che ebbe ammirato in tutto il suo splendore la celeste visione, si sentì
dire dalla Vergine come la richiesta positura fosse a motivo di restar Ella seduta tra il popolo tresilicese a dispensare grazie. Un atteggiamento, invero, assai contrario a quello tenuto da un
amico, che in casa d'altri ristà alzato in attesa di potersi congedare da un momento all'altro. Con questo la Madonna voleva significare la concessione di una permanente protezione sul capo dei
suoi amati figli di Tresilico. Ciò detto, la visione si dileguò... Il nuovo simulacro era stato commissionato ad un artista di vaglia, quel tale Arcangelo Testa, che avrebbe costruito pochi anni
dopo anche le effigi della Madonna Annunziata di Oppido e della Madonna Pastora di Piminoro. La statua fu pronta sin dal giugno del 1837 e già a Tresilico era tutto previsto per il solenne
ingresso della stessa, quando un rinnovato scoppio di colèra venne a impedire la grandiosa manifestazione, che dovette essere rimandata insino al 30 ottobre, con dispiacere grandissimo dei molti,
i quali vi avrebbero volentieri dato la vita, scrive il Morizzi. Giorno 19 ottobre ci fu l'arrivo del simulacro a Gioia ... Qui si custodì con ogni circospezione la statua (come si vede,
ricorrono sempre i motivi che accompagnarono l'arrivo della statua della Madonna del pilar), e cominciarono i preparativi per un suo solenne ingresso. Per prima cosa venne costruita ed ornata con
ogni cura una colossale porta all'inizio del paese, precisamente al'imbocco della cosidetta via Vecchia. Poi in mezzo alla piazza si volle innalzare un "ricco trionfo a quattro colonne". In
chiesa venne eretto un "tresello a quattro colonne", magnificamente addobbato. L'altare maggiore risultava del pari riccamente guarnito. Spuntò l'alba del 30 ottobre e l'atteso avvenimento venne
pronunziato al popolo tresilicese con rintocco delle campane e col forte rimbombo prodotto dallo sparo dei "mortaloni"... Alle ore 16 il vescovo, ch'era il noto beneamato Mons. F. M. Coppola,
accompagnato dal Capitolo e da altri sacerdoti e dalle persone più in vista del paese e dei dintorni e da un numeroso popolo e vestito dei sacri paramenti, si recò aldilà della porta elevata
all'uopo per incontrare e benedire la desiata immagine. Ciò fatto, cento colpi di mortaloni testimoniarono dell'avvenuto rito e, avanzata dalla confraternita di S. Rocco, iniziò a snodarsi
un'imponente processione. Giunta che fu in piazza questa, i "mortaloni" e le "petrere" davvero si sprecarono e la statua venne fatta segno ai replicati evviva del popolo osannante. Recata la
statua dentro la chiesa e sistematala sul trono allestito a bella posta iniziò a parlare il vescovo Coppola... Più tardi venne ad iniziarsi la vera e propria processione per le principali vie del
paese. a processione avvenuta la statua fu collocata sul Tresello, dove per otto giorni ricevette l'omaggio dei fedeli tutti di Tresilico e paesi circonvicini.
Con la sistemazione in chiesa della statua della Madonna delle Grazie ebbe termine la missione di cui fu tanto singolarmente incaricato il Morizzi e con tali avvenimenti ha anche fine il
manoscritto cui lungamente abbiamo attinto.
(da "Un Paese un Culto" Tresilico e la Madonna delle Grazie, a cura di Rocco Liberti, Tresilico (RC), GM Edizioni, Giugno 1979)
Dal quel 30 ottobre 1837 l'antica statua della Madonna (popolarmente detta "in piedi") per volontà della pia Rosa Vorluni, si trova nel "basso", da pochi
anni restaurato, sito in prossimità del Santuario di Tresilico. Tale cappella, dopo l'ingresso trionfale della nuova statua (1837), accolse quella immagine più antica. Rosa Vorluni volle così
portare in quel luogo dove viveva in penitenza l'immagine mariana, così da poterLe accendere una "lampa" che da quel giorno continua incessantemente ad ardere.
Di seguito verranno presentate le immagini dell'antica Statua della Madonna delle Grazie, "in piedi", ancora oggi venerata nel "basso" dove un tempo abitava la pia Rosa Vorluni. Le foto rappresentano la sacra effigie prima del restauro del "basso" e della Statua (prima casella), e dopo il restauro.